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Magazzini e piattaforme
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Automazione ed elettrificazione sono due elementi chiave per affrontare l’aumento della domanda di consegne nell’ultimo miglio. Ma servono anche strutture adatte. Una ricerca di World Capital ne individua tre nell'area di Milano

Nel prossimo decennio le nostre città potrebbero svuotarsi dalle automobili (almeno per come le abbiamo intese fino a oggi), ma le strade non resterebbero vuote, perché potrebbero popolarsi di nuovi oggetti, di cui già oggi vediamo l’avanguardia: bici cargo elettriche sempre più capienti, autoveicoli a guida autonoma, piccoli robot per la consegna di pacchi, magari sorvolati da droni. In tutti questi casi il condizionale è d’obbligo, perché le profezie tecnologiche spesso svaniscono nel tempo stesso di proferirle e sono lette dai posteri con un sorriso beffardo. Le fotografie di questo articolo rappresentano veicoli veri e funzionanti, ma ancora allo stato di prototipo e quindi non possiamo dire se tra qualche anno ci porteranno veramente a casa un prodotto acquistato online. Di sicuro l’automazione entrerà nella consegna nell’ultimo miglio, per una semplice considerazione operativa ed economica: il commercio elettronico si sta impennando - spinto anche dalla pandemia di Covid-19 - e quindi richiederà sempre più veicoli per raggiungere la porta degli acquirenti.

L'evoluzione dell'ultimo miglio. Ogni mezzo ha bisogno di un conducente, che deve anche recapitare la merce. Una necessità che si scontra con carenza di personale nell’intera filiera logistica e i costi del suo utilizzo, rendendo così l’automazione necessaria. Un processo che avverrà prevalentemente all’interno di aree urbane, dove secondo studi della Commissione Europea si concentrerà entro il 2050 circa il novanta percento della popolazione di alcuni Paesi comunitari. Ma lo sviluppo di veicoli automatici terrestri o volanti è solo un aspetto dell’evoluzione dell’ultimo miglio. L’altro, altrettanto importante anche se meno spettacolare, riguarda l’infrastruttura che serve quest’attività. Parliamo dei centri di distribuzione che s’inseriscono nella filiera logistica tra le grandi piattaforme dell’area suburbana (che gli operatoti chiamano Big Box) e i veicoli per le consegne. Da un punto di vista concettuale non sono nuovi, perché fino a una trentina di anni fa tutte le grandi città avevano delle zone dove si concentravano i magazzini dei corrieri. Poi la deindustrializzazione delle aree metropolitane, il tramonto dei corrieri e la riorganizzazione della logistica in grandi piattaforme hanno spinto lo stoccaggio e il trasporto lontano dai centri urbani. Il commercio elettronico li sta riportando tra le case, anche se in modo diverso. È un fenomeno già in fase avanzata in alcune grandi metropoli europee e che sta approdando in Italia. Per comprendere come può farlo abbiamo parlato con Matteo Marconi, analista di World Capital Real Estate, società di consulenza immobiliare molto attiva nella logistica.

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I vari parametri. “Queste strutture si distinguono in primo luogo per la dimensione, che deve essere inferiore ai mille metri quadrati”, spiega Marconi. “Abbiamo individuato una superficie media di 500 metri quadrati, tenendo conto che ormai il terreno nelle grandi città, soprattutto a Milano, è molto costoso ed è difficile trovare aree adibite a questa funzione. Per ridurre l'impronta al suolo, e quindi i costi, ci si può sviluppare in altezza. L’ultimo miglio non richiede enormi volumi di stoccaggio perché i magazzini hanno una rotazione velocissima, quindi riteniamo sufficiente un’altezza intorno agli otto metri. Eventualmente, un operatore logistico può usare più di un impianto nella stessa città, sulla base di dove si concentra la domanda potenziale di trasporto”. Una volta individuata la dimensione, si arriva al nodo principale, ossia dove installare l’impianto. In teoria esistono dei parametri: devono essere all’interno del tessuto urbano, ma non in centro, dove i costi sono proibitivi, per svolgere le consegne con veicoli piccoli ed ecologici, ma nello stesso tempo devono essere prossimi a grandi arterie di comunicazione, per alimentarsi costantemente dai Big Box.

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Parola d'ordine: riqualificare. Declinare questi requisiti nella pratica di una grande città non è però facile. Lo studio di World Capital ha selezionato tre zone a Milano che rispondono a tali parametri. “Per individuarli siamo partiti da una considerazione di base, ossia che bisogna utilizzare aree dismesse da riqualificare, perché in città non esistono spazi completamente vuoti da riempire”, precisa Marconi. L’area più idonea emersa dal modello di localizzazione è quella denominata Mind, ossia la piattaforma dove nel 2015 si è svolto l’Expo. È nella parte nord-occidentale del capoluogo meneghino, connessa sia alla Tangenziale Ovest sia alle autostrade A4 per Torino e A8 per Como e Varese (e quindi comoda anche per raggiungere la cargocity della Malpensa). La seconda area è nella parte opposta della città, dove sorge l’Ortomercato: “In questo caso siamo vicini alla Tangenziale Est e all’autostrada A1. Questa zona è interessante perché si sta ancora plasmando e ci sono aree dismesse a prezzi leggermente più bassi del resto della città”. La terza zona è nell’hinterland: si trova a San Giuliano Milanese, alla congiunzione tra le Tangenziali Est e Ovest e l’A1. “Anche qua ci sono aree dismesse da utilizzare e siamo all’interno di un cluster logistico già attivo”, aggiunge Marconi. L’analista di World Capital conclude affermando che questo è il momento giusto per investire nel settore: “Gli spazi sono limitati e col tempo si ridurranno, mentre aumenteranno i prezzi. Inoltre, stanno arrivando agevolazioni e contributi per l’innovazione e la sostenibilità ambientale”. Insomma, anche in questo settore torna d’attualità il vecchio detto che chi primo arriva meglio alloggia.

Michele Latorre

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