Bus
Il punto STORIA DI UNA FINE ANNUNCIATA

È quella dell'impianto produttivo della Irisbus a Valle Ufita (AV). Premesso che abbiamo il massimo
È quella dell'impianto produttivo della Irisbus a Valle Ufita (AV). Premesso che abbiamo il massimo rispetto per i 700 operai dello stabilimento di Valle Ufita, e di altrettanti operatori dell'indotto, che si ritroveranno senza lavoro a fine anno (salvo improbabili operazioni di rilancio), il destino dello stabilimento italiano della Irisbus appariva segnato già nel 2006.
Allora tuttoTrasporti faceva polemicamente notare come dalla fabbrica avellinese fossero sparite nel giro di poco più di un anno sia la linea di montaggio degli Euroclass, sia quella degli interurbani Myway; mentre la fine del Cityclass era già stata decisa. In buona sostanza, tutti i modelli italiani avevano lasciato, o stavano per lasciare, il catalogo Irisbus in favore degli omologhi francesi. Per i linea sarebbe subentrato l'Arway/Crossway, di fatto un aggiornamento dell'Ares by Renault, e per gli urbani toccava al Citelis, di un mezzo Agorà sempre ex-Renault. Una situazione che ci fece titolare: dov'è finita l'"italianità" di Irisbus?
A inizio 2007, a Valle Ufita restavano giusto i turistici new Domino e il fase-out del Cityclass, un po' poco... Poi, in pompa magna, furono annunciati per lo stabilimento irpino ben 8 milioni di euro d'investimento, con l'avviamento di una linea per il Citelis, che fino ad allora era fatto solo in Francia. Peccato che la qualità iniziale di quello italiano non fosse affatto esaltante, al punto che sembravano due mezzi diversi i nostri e quelli di Annonay. Addirittura l'Atm Milano sospese il ritiro di veicoli già assemblati e non rispettò l'accordo quadro che prevedeva altri ordinativi.
Intanto lo stabilimento Irisbus ex-Karosa della Repubblica Ceca cresceva d'importanza, fino ad accaparrarsi tutta la produzione dei veicoli di linea. E tiene per adesso anche la produzione francese di Irisbus, a dispetto di una fabbrica tutt'altro che razionale come quella di Annonay: a due piani e addossata a una collina. E in Francia esiste pure una fabbrica-bis, che è la Heuliez di Rothais, dove gli avveniristici Civis/Cristalis sono ormai usciti di produzione, ma si allestiscono i corti che non fa più Cacciamali (Europolis) e delle belle copie degli urbani originali da 12 e 18 metri (i GX su pianale Citelis).
Perché al di là delle Alpi si continua a lavorare a da noi no? Sostanzialmente perché il Governo francese per salvaguardare l'occupazione dalla crisi del 2008 ha sveltito l'ammodernamento delle flotte (Ratp in primis), garantendo a Irisbus un buon portafoglio ordini. Probabilmente perché il sindacato francese è un osso più duro rispetto a quello italiano. Forse c'è anche un discorso legato alla qualità. In ogni caso, alla fine, l'anello debole della catena è diventato lo stabilimento di Valle Ufita. E Marchionne, uno che non va troppo per il sottile quando si tratta di far tornare i conti, non ci ha pensato due volte ad abbassarne la saracinesca. Del resto la sostituzione del Domino con il Magelys Pro decisa già lo scorso autunno aveva messo in seria discussione la "questione" italiana.
Il resto è storia recente: l'unico paventato acquirente, Di Risio, ha preferito un altro stabilimento Fiat, quello di Termini Imerese (PA). Né si capisce come avrebbe fatto a costruire e vendere autobus con un marchio sconosciuto in Italia, dopo che non ci è riuscito convenientemente il leader del mercato. Irisbus, appunto. E qui nasce la domanda: quale futuro per il Delfino, al di là di Valle Ufita? Attendiamo spiegazioni dalla conferenza del prossimo Salone di Courtrai (a fine mese), ma i rumors anche dai cugini francesi sono preoccupanti: neppure Oltralpe possono continuare a godere degli effetti di un mercato drogato dalle sostituzioni anzitempo del parco circolante. Né è pensabile che il taglio del 75% dei finanziamenti italiani al TPL possa solo svecchiare i nostri bus, altro che ringiovanire?
Danilo Senna
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