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Primo contatto
MAN TGS, pronto a tutto

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MAN TGS, pronto a tutto
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Prima guida del modello nella sua versione più estrema e italiana, l'8x4 mezzo d'opera. Robusto faticatore da 40 tonnellate con 510 CV, unisce la tradizione allo stile della nuova cabina.

Esse al posto di ics: è nell'ultima lettera della sigla che si distinguono i pesanti MAN, da che la Trucknology Generation è stata lanciata all'inizio del millennio. Ma questa è una storia nuova, cominciata lo scorso anno con il lancio di una gamma riprogettata dove, complementari ai TGX, ritroviamo i modelli con le cabine più compatte, compreso appunto il TGS. Multiruolo per eccellenza, adatto al medio raggio come alla distribuzione, il MAN pesante più agile sublima la sua poliedricità nel cava-cantiere, portando avanti una tradizione della Casa che ha sempre avuto parecchi seguaci in Italia già dai tempi degli F90/F2000. Giusto quindi sederci alla guida del modello forse più estremo, il 41.510, quattro assi mezzo d'opera.

Sfruttare l’occasione. Chissà che i promessi fondi per il rilancio del Paese e lo sblocco delle grandi opere non servano a smuovere un settore ridotto ai minimi termini ben prima della pandemia. Puntare sulla configurazione 8x4 ribaltabile, che è la più comune, appare una scelta logica. Tant'è che la MAN questo TGS lo propone quasi "chiavi in mano", con una pregevole vasca Andreoli. L'allestitore veronese fa parte del gruppo selezionato da MAN Italia per proporre veicoli pronti all'uso, almeno per gli impieghi più comuni. L'identikit di questo TGS è di fatto il mezzo d'opera configurato coS me piace agli operatori italiani. Corto tanto nel passo, il minore fra quelli disponibili, quanto nei rapporti: a 80 km/h il motore è un filo sopra la zona verde del contagiri (1.400 giri/min). Poi, c'è il telaio costituito da longheroni a C da 270x85 mm spessi 9,5. Le sospensioni, come da sigla identificativa BB, sono a balestre paraboliche davanti e dietro: 3 foglie sull'avantreno e 5 al tandem in cantilever posteriore. A conferma del carattere duro&puro, la MAN si concede i freni a disco solo sul doppio asse sterzante, mentre sui ponti motore resistono i classici tamburi.

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Forte di carattere. Al di là della verniciatura integrale del paraurti (comunque d'acciaio e in tre pezzi) e dei primi passaruota - che alla trattoria fuori dalla cava non vi farebbero neppure entrare per un caffé - il TGS ha attributi da faticatore vero: radiatore alto e protetto da una piastra inferiore (che avrebbe potuto essere invero un po' più solida) e primo gradino elastico, benché di plastica fin troppo rigida. Poi c'è la pedanina sul parafango sinistro e il mancorrente sul tetto per andare a controllare dentro al cassone. Dal punto di vista meccanico, il 12,4 litri nella sua massima esecuzione è proporzionato al compito: supera di poco la soglia psicologica dei 500 cavalli e li mette a terra attraverso un cambio automatizzato che si chiama sempre TipMatic, ma che qui a differenza dei TGX stradali (che sono di origine svedese) è uno ZF Traxon. L'unico appunto che ci sentiamo di fare è alla marmitta sulla destra dietro al secondo asse, che costringe i gas di scarico a un lungo trasferimento. Sul lato opposto il serbatoio del gasolio da 300 litri, abbinato a quello dell'AdBlue da 35, però di nuovo a destra e fra i primi due assi, spazio condiviso su entrambi i lati con i componenti dell'impianto pneumatico.

Danilo Senna

Estratto della prova pubblicata su tuttoTrasporti di luglio-agosto, n. 451.

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